Riflessioni provocatorie sul codice della crisi

Il decreto legge 118, convertito dalla legge 147/2021, che ha
introdotto la “composizione negoziata della crisi d’impresa”, aveva
aperto uno spiraglio verso un nuovo modo di affrontare il problema
delle imprese che si dibattono nei mari agitati delle difficoltà
finanziarie.

La novità rilevante era data da una serie di norme che avrebbero
dovuto indurre anche le banche ad un approccio positivo verso
l’imprenditore che, per evitare il fallimento, avvia precocemente la
procedura negoziale prima di entrare nel tunnel della crisi conclamata.
L’approccio, favorito dalla Direttiva Insolvency (2019/1023), si basava
e si basa sulla necessità di considerare i finanziatori (e quindi anche le
banche) in qualche modo corresponsabili della vicenda dell’impresa
finanziata, grazie anche all’intento di far superare atteggiamenti poco
trasparenti del debitore (4° co. Art.16 CCII) che mettono le banche in
sospetto e le inducono alla massima prudenza, non sempre proficua.
Intendiamoci, la banca, per quanto possa avere esaminato
approfonditamente la controparte in sede di concessione del fido ed
averla monitorata con diligenza nel durante del rapporto creditizio, è
sempre consapevole di non conoscere con esattezza lo stato
dell’azienda cliente e quindi teme di non essere in grado di uscire dalla
relazione in tempo utile per evitare la fase di default. Insomma le
banche non si fidano. 360 miliardi di Npls italiani (ormai un fenomeno
endemico) sono la prova provata di questo limite di capacità cognitiva.

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La “composizione negoziata” avrebbe voluto attenuarne gli effetti
mettendo l’imprenditore nella condizione di avere interesse ad
anticipare l’avvicinarsi della crisi, avviando con trasparenza e sincerità
un negoziato utile per rimettere l’impresa in carreggiata con l’aiuto
dell’esperto , ma anche dei creditori, specie se bancari.
Da qui il 5° comma dell’art. 16 del CCII: “le banche e gli intermediari
finanziari, i loro mandatari ed i cessionari dei loro crediti, sono tenuti
a partecipare alle trattative in modo attivo ed informato“. Prescrizione
non presente per tutti i creditori obbligati solo alla lealtà ed alla
riservatezza (6° co.).
Da qui anche l’art. 18 sulle “misure protettive “che dovrebbero
impedire ai creditori di “acquisire diritti di prelazione …, né possono
iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul (suo) patrimonio
(dell’imprenditore) “ con la precisazione del 5° comma dove si prevede
che i creditori, quindi anche le banche, “non possono rifiutare
l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la riduzione o la
risoluzione ne’ possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno
dell’imprenditore“.
Insomma, si voleva e si vorrebbe congelare la situazione, con
l’evidente compressione dei diritti dei creditori, ma nello spirito di
dare tempo ad imprenditore ed esperto di formulare e condividere un
piano che faccia ripartire l’impresa in condizioni economiche e
finanziarie più equilibrate.
Tutto questo era già previsto nel decreto legge 118/21 e lo ritroviamo
appunto nel CCII, ma con una novità, a mio avviso , dirompente
Al citato 5° co. dell’art. 16, dopo aver stabilito che “l’accesso alla
composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di
sospensione e di revoca degli affidamenti bancari “ con il CCII è stato
aggiunto “In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti
possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza

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prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni delle
decisioni assunte“.

Questa integrazione è di peso!
Senza di essa era chiaro lo spirito: l’avvio della composizione negoziata
doveva congelare lo status quo, anche dal punto di vista delle banche,
in attesa degli sviluppi del tentativo dell’esperto.
Con la nuova formulazione viene depotenziata significativamente
l’intera procedura di “composizione negoziata” visto che le banche
possono sospendere o revocare gli affidamenti modificando appunto
lo status quo.
Un buon motivo per l’imprenditore per non attivare la procedura con
buona pace delle intenzioni del legislatore di far emergere al più
presto possibile la situazione di potenziale crisi.
Sulla stampa ormai si legge diffusamente che il ricorso alla
“composizione negoziata” stia mostrando gravi limiti di espansione:
485 istanze di negoziazione presentate sono effettivamente un
numero modesto. Si parla addirittura di fallimento della norma.
Una prima osservazione. Evidentemente il legislatore del CCII sembra
essere stato indotto a non essere più così convinto del presupposto
della “composizione negoziata”: l’imprenditore avvia la procedura
chiedendo la nomina dell’esperto nella prospettiva o nel timore della
incipiente crisi e non in una fase di crisi conclamata per la quale la
norma prevede altri strumenti.
Secondo punto. Le banche non sono affatto confidenti che la
“composizione negoziata” sia uno strumento salvifico anche nel loro
interesse e quindi vogliono tenersi le mani libere per assumere le
decisioni che riterranno più opportune.

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Il rinvio alla disciplina della vigilanza prudenziale (comunque
subordinata alla norma di legge) è fuorviante e pleonastico
contemporaneamente. La disciplina di vigilanza suggerisce
comportamenti ritenuti prudenziali dai Regulator: non statuisce cosa
“deve fare” la banca , ma piuttosto “cosa dovrebbe fare” lasciando alla
autonomia del banchiere le decisioni e riservando al Regulator di
assumere provvedimenti , anche sanzionatori di varia natura e specie,
qualora i comportamenti della banca siano considerati , ex post ,
inadeguati a fini prudenziali.
Altro elemento di novità, che tende invece ad attenuare l’arbitrio della
banca nel revocare i fidi, è la precisazione “con comunicazione che dà
conto delle ragioni della decisione assunta“. Un vero e proprio colpo
di coda del legislatore!
Di norma le banche non comunicano al cliente il loro processo
decisionale, ma solo la mera decisione di revocare il fido. E questo
appare logico nel presupposto che la banca finanzia il cliente “intuitu
personae “ (con tutto ciò che ci può stare dentro questa allocuzione).
Prescrivere il “dar conto delle ragioni della decisione” costringerà la
banca ad assumersi responsabilità che potrebbero comportare,
all’estremo, obblighi di risarcimento del danno ed altre conseguenze,
tenuto conto che l’imprenditore, ma anche i fideiussori e, perché no?,
gli altri creditori dell’impresa, potrebbero agire giudizialmente contro
la revoca considerata immotivata.
Non sempre le decisioni di revoca sono facili da spiegare poiché gli
elementi che possono determinarle potrebbero non essere oggettivi.
Se fosse tenuta a farlo, nell’impossibilità di rappresentarli all’esterno,
la banca sarebbe costretta a sostenere finanziariamente il cliente
anche quando non ne fosse più convinta per aspetti di carattere
soggettivo non sempre palesabili o dimostrabili (questioni di
opportunità, moralità, venir meno della fiducia nel cliente, ma anche
per cambiamenti delle policy di rischio interne della banca, eccetera)?

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Nessun dubbio. Così come la banca deve essere libera di erogare o
meno il credito, altrettanto libera deve essere nel revocarlo. Nel caso
risponderà della “revoca brutale del fido” ex articoli 1175 e 1375 del
codice civile.

Ma lo spirito della norma sulla Composizione negoziata ha un
obiettivo superiore: salvare l’impresa salvabile. Un obiettivo di
interesse collettivo macroeconomico, sovraordinabile a quello della
singola banca di rispettare la compliance regolamentare.
Insomma la banca può aspettare, prevedeva il d.l. 118/21. Non sarà
piu così dopo il CCII.
In conclusione: la modifica apportata in sede di CCII non sembra
favorire il ricorso alla “composizione negoziata”.
A mio avviso questo diventerà l’ennesimo strumento che ritarderà i
tempi di realizzazione del credito, ormai divenuto almeno in parte
irrecuperabile.
Senza vantaggio né per l’impresa né per i creditori, banche comprese.

Dino Crivellari